Basilica di S. Ubaldo – Gubbio

Vista della Basilica di Sant’Ubaldo, a cui piedi si trova un prato con una stradina che porta alla grande scalinata e all’ingresso.

Accenni sulla vita di S. Ubaldo

La figura del giovane Ubaldo, canonizzato il 5 marzo 1192, è imprescindibile da Gubbio e dall’affezione che ancora oggi manifestano nei suoi confronti gli abitanti della cittadina. Dopo ottocento anni, infatti, non è scemata l’unicità della memoria come riconoscimento al santo patrono per essere stato ispiratore di pace e conciliazione.

La tentazione di fuggire

La Chiesa vive un periodo di crisi, risentendo della decadenza dei propri ideali e in alcuni momenti lasciandosi sedurre dalla mondanità e dal gusto del possesso. Ubaldo abbandona i suoi averi e, dopo essere stato canonico della cattedrale, diviene sacerdote. Corroborato dagli esempi di Fonte Avellana e S. Maria di Porto a Ravenna avvia una proposta di riforma per rifondare il clero locale e ciò non viene accolto con entusiasmo.
Più volte Ubaldo si trova a combattere contro la tentazione di “lasciare l’aratro” dopo aver iniziato l’opera. Come quando vorrebbe rimanere a Fonte Avellana e l’abate lo rispedisce a Gubbio ad affrontare le difficoltà dovute all’incendio della canonica nel 1126, o come quando a Perugia lo scelgono come vescovo, ma lui fugge a Roma per chiedere a Papa Onorio II di accettare il suo rifiuto. In quel caso verrà ascoltato, ma lo stesso Papa non acconsente al diniego quando nel 1129 si rende vacante la sede vescovile di Gubbio. Ubaldo ne fu vescovo per trentuno anni. 

Dall’ostilità alla venerazione di S. Ubaldo

In origine maltrattato, lasciato solo nell’esercizio dei propri compiti, ingiuriato e diffamato da molti, passo dopo passo Ubaldo conquista la fiducia dei concittadini avvinti dalla sua vita santa. L’episodio più eclatante fu senza dubbio quello con Federico Barbarossa. Nel 1155, mentre sta risalendo verso nord dopo l’incoronazione avvenuta a Roma, Federico assedia Gubbio. Le forze sono impari, la città non può resistere e solo una ritirata delle truppe imperiali può salvarla. Il mediatore è proprio Ubaldo, un uomo malato che gli abitanti scongiurano di non alzarsi dal letto affinché non perisca. “Allora l’uomo del Signore si alzò, uscì dalla città ed entrò nella tenda dell’imperatore (…) Federico, gli restituì un nepote, che era tra gli ostaggi, e con una decisione tutta personale pose fine all’assedio”. Cinque anni dopo, nella notte di Pasqua, all’alba del 16 maggio del 1160, il Beato Ubaldo morì e tutti i concittadini lo piansero inneggiando alla sua santità.

La Basilica di S. Ubaldo

Il corpo fu inizialmente custodito in Cattedrale. L’11 settembre 1194 venne traslato nella chiesetta di San Gervasio sul monte Ingino, poi inglobata nella costruzione della Basilica di S. Ubaldo iniziata nel 1513 e terminata nel 1527, dove tuttora riposa. La collocazione è tra le più belle che si possano desiderare. Il paesaggio dai crinali ricchi di vegetazione lascia intravedere la città medievale, le sue case, i suoi quartieri, quasi a protezione dall’alto. A loro volta gli eugubini si rivolgono verso il monte da cui svetta il campanile nei momenti di maggiore bisogno e necessità, tanto che i tornanti che portano alla Basilica di S. Ubaldo spesso divengono strada di pellegrini che, in autonomia, pregano il santo e fanno penitenza. Il complesso è formato dalla chiesa, il chiostro e il convento attiguo. L’ingresso alla Basilica avviene attraverso il chiostro, sobrio ed essenziale nelle forme, costruito in mattoni negli archi e nelle colonne. Esso presenta in alcuni punti delle pareti affreschi del XVI secolo attribuiti al pittore locale Pier Angelo Basili, narranti episodi della vita del santo. 

L'interno

Un portale principale immette all’interno della Basilica di S. Ubaldo, diviso in cinque navate e visibilmente rimaneggiato nel corso dei secoli. L’altare marmoreo, abbellito con figure mosaicate di santi, accoglie alla sommità l’urna di bronzo che custodisce il corpo del patrono, sempre visibile ai visitatori. Nelle vetrate dell’abside, delle cappelle e della controfacciata la Vita del santo di Tebaldo biografo, commissionata da Federico Barbarossa, è presa a modello dal mastro vetraio Francesco Mossmeyer che nel 1921 le realizza per volere del custode di allora Padre Emidio Selvaggio, rappresentato nella vetrata del rosone mentre chiede al Papa che la chiesa sia elevata a Basilica.

 I ceri e la Basilica di S. Ubaldo

Nelle vetrate laterali di controfacciata, da leggere dal basso verso l’alto, sono raccontati miracoli avvenuti in città dopo la morte del santo. In quella centrale è visibile il vescovo Bentivoglio che chiede a Papa Celestino III di canonizzare Ubaldo. Ciò fu siglato con la Bolla del 5 marzo 1192. Sempre in essa, il popolo di Gubbio è invitato dal Papa a festeggiare tutti gli anni tale ricorrenza con allegrezza: “hilariter”. Chi ha partecipato alla festa dei ceri sa che tale consiglio non è mai stato tradito.
Nella navata di destra della Basilica di S. Ubaldo sono custoditi i ceri: tre macchine in legno, alte e pesanti, che simulano imponenti torce votive. Il primo documento ufficiale che cita questa festa si trova nello Statutum Eugubii datato 1338. Probabilmente già allora era consuetudine che le tre più importanti Arti della città medievale, che sono i Muratori (Sant’Ubaldo), i Merciari (San Giorgio) e gli Asinari (Sant’Antonio), attraversando le vie della cittadina in modo festoso, portassero in sfilata i tre ceri salendo fino al monte per offrirli al santo. Ai nostri giorni essi escono dalla Basilica di S Ubaldo solo la prima domenica di maggio, giorno della “calata”, suggestivamente cavalcati da bambini della contrada di appartenenza e contornati dai genitori e parenti ceraioli. I ceri verranno poi custoditi nel salone del Palazzo dei Consoli fino al 15 maggio, giorno in cui la corsa li riporterà al monte in un brillio di colori, suoni, riti, gesti, canti e ritmi, impossibili da raccontare a chi non ha visto. Una festa tra le più suggestive d'Italia, scelta dalla regione Umbria a rappresentare lo stemma del territorio. Solo l’attuale pandemia è riuscita a fermare questo rituale mai interrotto negli anni passati, neanche durante la Grande guerra.   

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